Israele chiede la censura sui social: Meta e TikTok obbediscono sotto il silenzio generale
Lo evidenzia un rapporto DELL'ONU: la "Grande Democrazia" silenzia la verità, usa censura, violenza e leggi draconiane per soffocare le voci pro-Palestina trasformandosi in uno Stato paria.
Di Giuseppe Salamone, 21 novembre 2024
Il rapporto delle Nazioni Unite (A/79/363) evidenzia con forza come la censura sistematica e la repressione di contenuti pro-Palestina da parte di Israele rappresentino una grave violazione della libertà di espressione, dei diritti umani e del diritto all’informazione. Questi atti non sono incidenti isolati, ma parte di una strategia deliberata volta a silenziare le narrazioni critiche e impedire la denuncia delle violazioni umanitarie e dei diritti nei Territori Occupati e a Gaza.
Attacchi contro i Media e la libertà di stampa
Dal 7 ottobre 2023, Israele ha condotto una campagna senza precedenti contro giornalisti e media indipendenti. Il rapporto denuncia l’uccisione, l’arresto e l’intimidazione di numerosi operatori dell’informazione. Gaza è diventata una delle aree più pericolose al mondo per i giornalisti, con attacchi diretti contro reporter chiaramente identificabili e sedi di organizzazioni mediatiche. Secondo le Nazioni Unite, queste azioni non sono semplici conseguenze del conflitto, ma una deliberata strategia volta a oscurare il resoconto della realtà sul campo. Un esempio particolarmente significativo è la chiusura degli uffici di Al Jazeera in Israele, avvenuta il 5 maggio 2024, in seguito a una decisione del governo di Benjamin Netanyahu. La misura è stata giustificata con accuse generiche di "danno alla sicurezza nazionale", ma rappresenta chiaramente un tentativo di sopprimere uno dei principali canali di informazione sulla crisi palestinese.
Manipolazione dei social media: La guerra delle narrazioni
Israele ha esercitato un controllo aggressivo sulle piattaforme digitali per soffocare le voci palestinesi e promuovere una narrazione unilaterale. Tra ottobre 2023 e luglio 2024, il governo israeliano ha presentato oltre 21.000 richieste di rimozione di contenuti ai principali social media come Meta e TikTok, ottenendo un tasso di approvazione del 92%. Questi contenuti riguardavano principalmente post pro-palestinesi o critici verso Israele, mentre quelli contenenti incitamenti all’odio contro i palestinesi, spesso pubblicati da funzionari israeliani, rimanevano in gran parte non censurati. Il rapporto evidenzia come le piattaforme digitali abbiano risposto in modo complice a queste richieste, attuando una censura sistematica. Meta, in particolare, ha rimosso migliaia di post, inclusi appelli per la pace o critiche legittime alle operazioni militari israeliane, etichettandoli come "incitamento al terrorismo". Questo approccio ha favorito una narrazione distorta e discriminatoria, silenziando le voci palestinesi e rafforzando la disinformazione.
Da brividi! Leggete attentamente cosa scrivono nel loro rapporto, al punto 15 di pag. 7/27, i professionisti che hanno redatto il rapporto per conto delle Nazioni Unite:
Nel novembre 2023 sono state apportate modifiche alla legge antiterrorismo del 2016, che hanno portato a un aumento sproporzionato degli arresti di palestinesi, tra cui giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani, con accuse ampiamente definite di "incitamento" o "terrorismo" per aver pubblicato o consumato contenuti sui social media relativi al 7 ottobre e al conflitto di Gaza.
Tra il 7 ottobre e il 27 marzo, la polizia israeliana ha presentato denunce contro 667 persone per sospetti reati legati alla parola ai sensi dell'articolo 24 della legge israeliana contro il terrorismo, di cui 590 palestinesi, rispetto a 13 israeliani ebrei e 64 di origine sconosciuta. In due casi significativi nella Cisgiordania occupata, le autorità israeliane hanno arrestato un fotoreporter palestinese per aver coperto un raid e una giornalista palestinese per presunto incitamento e affiliazione ad Hamas, a causa di post su Facebook percepiti come minimizzazione della gravità degli attacchi del 7 ottobre.
Il Comitato speciale osserva che tali post che mostrano un "punto di vista pro-palestinese" sono stati rimossi in modo sproporzionato dalle società di social media rispetto ai post contenenti discorsi di odio e incitamento alla violenza contro i palestinesi, compresi quelli di funzionari, soldati e personale di sicurezza israeliani.
Il Comitato speciale osserva inoltre che gli appelli a porre fine alla violenza, a sostenere un cessate il fuoco umanitario o a criticare le azioni del governo israeliano sono stati spesso equiparati in modo fuorviante al sostegno al terrorismo o all'antisemitismo. Eppure, più del 92% delle 21.000 richieste di rimozione di contenuti dai social media presentate dal governo di Israele per presunto incitamento alla violenza e al terrorismo nei 50 giorni successivi al 7 ottobre, sono state approvate e tolte da Meta e TikTok.
Il Comitato è profondamente preoccupato per il fatto che queste misure restrittive e gli attacchi ai giornalisti limitano gravemente la libertà di stampa e il diritto dei palestinesi all'informazione e all'espressione, sollevando anche preoccupazioni per la sorveglianza online illegale e discriminatoria dei palestinesi.
Repressione interna: Arresti e leggi draconiane
Gli emendamenti alla legge antiterrorismo del 2016 hanno fornito a Israele un potente strumento per perseguire attivisti, giornalisti e cittadini palestinesi. Tra ottobre 2023 e marzo 2024, il 90% dei casi di arresto per presunti reati di "incitamento" online riguardava palestinesi, molti dei quali incriminati per aver pubblicato contenuti pro-Palestina sui social media. Il rapporto cita casi emblematici, come quello di un fotoreporter arrestato per aver documentato un raid israeliano e una giornalista detenuta per post su Facebook che esprimevano empatia verso le vittime palestinesi. Questi arresti dimostrano l’uso arbitrario della legge per criminalizzare ogni forma di dissenso e consolidare un regime di censura e intimidazione.
Israele e la narrazione del conflitto: Un monopolio della verità
La censura non si limita ai media e ai social, ma si estende a un controllo totale della narrazione pubblica. Le autorità israeliane hanno approvato misure che equiparano la critica alle azioni governative a sostegno del terrorismo o all’antisemitismo, soffocando ogni dibattito legittimo. Questa manipolazione della narrativa non solo deumanizza i palestinesi, ma distorce anche la percezione globale del conflitto, contribuendo alla normalizzazione delle violazioni dei diritti umani nei Territori Occupati.
Implicazioni per i Diritti Umani e la democrazia globale
Le azioni di Israele sollevano gravi interrogativi sul rispetto delle norme internazionali sui diritti umani e sulla libertà di espressione. Come sottolineato nel rapporto, la censura sistematica di contenuti pro-palestinesi costituisce una violazione flagrante del diritto all’informazione, sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, le azioni israeliane minano i principi fondamentali della democrazia e del pluralismo, favorendo un clima di paura e silenzio. Questo controllo unilaterale della narrazione contribuisce a perpetuare l’impunità per le violazioni dei diritti umani, ostacolando ogni tentativo di responsabilizzazione o giustizia per le vittime.
Conclusioni
Il rapporto delle Nazioni Unite conclude con un appello alla comunità internazionale affinché denunci e combatta la censura esercitata da Israele. È fondamentale proteggere la libertà di stampa e il diritto all’informazione come strumenti indispensabili per documentare le atrocità e promuovere la responsabilità. La censura di Israele non riguarda solo i palestinesi, ma costituisce un pericolo per la democrazia e i diritti umani a livello globale. La comunità internazionale deve agire con urgenza per garantire che le voci pro-palestinesi vengano ascoltate e che la verità, per quanto scomoda, non venga soffocata.
Un'ultima domanda
Quanti giornali e tv hanno riportato questo rapporto per mettere a conoscenza l'opinione pubblica?