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Nel panorama grottesco della politica internazionale contemporanea, poche immagini sono tanto emblematiche quanto quella di Donald Trump che accoglie Benjamin Netanyahu con tutti gli onori, mentre quest’ultimo è sotto mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per presunti crimini di guerra. L’ex presidente americano – colui che aveva promesso di sfidare il "deep state", porre fine all’imperialismo bellico statunitense e riportare la pace nel mondo – oggi si ritrova a spalancare le porte a uno degli uomini più controvers e criminalii del nostro tempo.
Netanyahu, premier israeliano da decenni artefice di una politica di occupazione militare, assedi e bombardamenti a Gaza e in Cisgiordania, è stato definito criminale di guerra da diverse organizzazioni internazionali. La CPI, con un mandato d’arresto ancora da eseguire, ha ritenuto credibili le accuse di crimini contro l’umanità. Eppure, invece di isolamento e condanna, riceve tappeti rossi e strette di mano.
Ma chi è davvero Donald Trump oggi? L’uomo che si dichiarava nemico del complesso militare-industriale, che millantava di poter fermare la guerra in Ucraina in 24 ore, si è rivelato un’altra pedina dello stesso gioco: armi in Ucraina, guerre per procura, retorica aggressiva contro l’Iran e i ribelli Houthi in Yemen, guerre commerciali con mezzo mondo, e ora una nuova ondata di aiuti militari a Zelensky. Altro che pacificatore: Trump ha contribuito a infiammare ogni angolo del globo sotto la bandiera dell’“America First”, che nella pratica si traduce in “guerra ovunque, finché conviene a Washington”.
Non è solo ipocrisia. È complicità ideologica con un sistema di potere fondato sul dominio, sul profitto militare e sull’appoggio incondizionato a Israele, anche quando le sue azioni violano apertamente il diritto internazionale. Trump si è piegato completamente a Netanyahu, definendolo "l’uomo più grande del mondo" per risolvere la questione israelo-palestinese, eludendo ogni responsabilità o posizione autonoma. Un tempo accusava i media e l’establishment di essere burattini dei globalisti. Oggi, si è trasformato nel servo politico più devoto del sionismo più radicale.
Il punto più surreale di questo teatrino arriva con l’annuncio della nomination di Trump al Nobel per la Pace: una parodia cinica in cui due uomini accusati di fomentare guerre, occupazioni e distruzione, si autocelebrano come campioni della stabilità globale. Ma se la “pace” secondo Trump e Netanyahu significa distruzione in Medio Oriente, militarizzazione dell’Europa e caos internazionale, allora il significato stesso della parola è stato completamente svuotato.
A dimostrazione di questa deriva, è arrivata l’ennesima conferma: Trump ha annunciato una nuova fornitura di armi all’Ucraina, giustificandola con l’urgenza di aiutare Kiev a “difendersi” mentre “così tante persone stanno morendo”. Ma la realtà è ben diversa: si tratta dell’ennesimo capitolo di una guerra per procura combattuta sul suolo europeo, in cui Washington continua a versare benzina sul fuoco invece di cercare una soluzione diplomatica. La presunta neutralità o distacco di Trump dal conflitto si è dissolta davanti all’evidenza: anche lui ha scelto di alimentare il confronto militare con la Russia, contribuendo alla destabilizzazione del continente e abbandonando completamente quella narrativa “pacifista” con cui aveva illuso milioni di elettori.
È tempo di smettere di considerare Trump come un “outsider” o un “ribelle del sistema”. È il sistema. E Netanyahu ne è l’alleato perfetto.
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